Chi, quando e perché decide di farsi “artista”?
Per fortuna nostra, di noi comuni mortali, esistono individui che non riescono ad adattarsi al vivere comune, alle sue piccole miserie e neppure alle sue piccole vittorie. Il loro esempio ci aiuta a ingoiare qualche boccone amaro con la scusa dell’estetica e della provocazione intellettuale. Ma, per sfortuna loro, tali individui aspirano doloranti a qualcosa di più rotondo, di più acuto, di più alto, di più sublime perfino. La realtà così com’è non li soddisfa; per questo decidono di crearsene un’altra, delle altre, a proprio uso e consumo. Sono piccoli creatori (non semplicemente “creativi”); sono quelli che vengono definiti “artisti”.
Sono tutti degni di tanto nome?
Certo che no. Come in ogni situazione, i migliori sono pochi; la media è mediocre, per definizione; e i peggiori non mancano mai. Ma non è impossibile, prescindendo dalle rispettive stime e quotazioni economiche, distinguere e districarsi nel gran bailamme dei sedicenti artisti; esiste più di un trucchetto per aiutare a separare i buoni dai cattivi. Qui ne valga uno per tutti: di solito, chi va per la sua strada solitaria incurante delle lusinghe del mercato è migliore di tanti altri. Quel che fa, lo fa per sé, perché non può farne a meno; non certo per ricavarne onori o valori transeunti. Lo fa, perché se non lo facesse non si rispetterebbe, non si approverebbe; lo fa, perché solo così si sente completo e utile, a sé e agli altri.
Ma perché tanti discorsi teorici? Non si potrebbe venire al punto?
Giusto. Detto fatto: qui vogliamo parlare come si deve di Giovanna Torresin, una artista che rientra di diritto nella pregiata categoria dei “buoni”, in quanto tutto ciò che ha prodotto finora lo ha perseguito a soli fini espressivi, senza secondi intenti, meno che meno commerciali.
Quali sono le caratteristiche del suo lavoro, della sua poetica?
Tralasciando i suoi esordi di pittrice preferibilmente informale, già comunque spia di una interiorità magmatica in necessità di eruzione, sarà meglio concentrarsi sulla produzione degli ultimi anni, che ne rappresenta meglio l’animo attuale. Diversi sono, al di là delle differenze più esteriori, i suoi modi di riflettere e raccontarsi. I materiali privilegiati della sua meditazione appartengono inizialmente alla quotidianità casalinga, come guardarsi intorno in una qualunque cucina: posate, piatti, bicchieri, sedie, addirittura pantofole. Bloccando l’attenzione su ciò che la circonda, lei sospende il suo tempo e lo dilata in uno spazio quasi trascendente, che diventa una sorta di paradigma della piccola esistenza di tutti i giorni.
Un po’ come la Bella Addormentata nel suo castello?
Forse… Al di là dell’attesa o meno di un indefinito Principe Azzurro che possa arrivare a ridestarla, la fanciulla dormiente-scalpitante porta a galla però questo sentimento ambivalente, un po’ tenerezza e un po’ irritazione, per gli elementi con cui coabita nella reggia-prigione che la contiene e che la trattiene. È una costante inquietudine che la porta a disegnare, con controllati scatti di insofferenza, una sua personale geometria dell’imprigionamento.
Perché e come tutto le si congela attorno?
È lei a immobilizzare le presenze circostanti in se stesse, grazie a precise e spietate colate di cemento, di catrame, di ceramica, di resina, di cera nella migliore delle ipotesi. I cassetti semipieni (semivuoti) della sua stanza dei ricordi; gli elementi inservibili delle mense apparecchiate inutilmente, montate su ruote che si neutralizzano e non vanno da nessuna parte; i possibili convivi rinserrati in contenitori sigillati da cerniere-lampo; i cori di borsette da signora a bocca aperta ma chiusa… Sono altrettanti mugolii di amoroso dolore. Questa donna deve chiudere i suoi conti aperti con il passato. Ha scelto l’arte per farlo, un gioco elegante nella forma – basato sui tre colori successivi della trasmutazione alchemica della materia: il rosso della rubedo, il nero della nigredo, il bianco dell’albedo – e quanto mai crudele nei contenuti. È un gioco estenuato di castrazione, una vera e propria tortura, in cui essa stessa si mette infine direttamente al centro.
Quando entra in scena lei in prima persona?
È ancora un elemento dei più familiari a introdurla sul palcoscenico della propria Passione: la sua croce personale è il tavolo. Quello scheletro irridente che sta in piedi in mezzo alla cucina, dritto sulle ossa delle sue gambe, sostegno e patibolo dell’esistenza sommessa e urlante tra quelle quattro mura. Il tavolo, il tavolo è di Giovanna Torresin la croce e la delizia. Lei lo apre in due, lo seziona, e le due metà accostate per terra diventano parentesi che contengono a loro volta lacerti di passato, pezzetti di ieri, da ricordare un’ultima volta per dimenticarli per sempre. Col tavolo la donna si fonde, lo penetra e si fa penetrare, ora con delicatezza e ora con rabbia. Al tavolo questa donna guarda come un grande signore e padrone che si diletta, imperturbabile, a fare di lei, piccolina, tutto ciò che vuole. Dividono il palcoscenico, adesso, ma chi è protagonista e chi deuteragonista?
Non è troppo facile rispondere alle domande con altre domande? Piuttosto, dopo le cavità tappate senza rimedio, e dopo le com-penetrazioni e le con-fusioni con il suo coinquilino tutto spigoli, dove pensa di andare Giovanna – la Pulzella e la Pazza – col coraggio del suo spavento?
È il momento in cui la principessa, infine destatasi, dopo essersi guardata intorno si scopre allo specchio. Si ricordava bambina, si scopre donna. Ora, come per la prima volta, vede mammelle, vede uova, vede vagine… Considera e riconsidera i simboli principali di fertilità, nutrimento, femminilità. È un passaggio obbligato, per qualsiasi individualità femminile che intenda conseguire la coscienza di sé. Nei travasi di fluidi – latte come resina, sangue come calce viva – la corporeità di questa donna ora si afferma e ora si nega, in un’altalena di interrogativi e di esclamativi che dà la vertigine.
Esiste un rimedio allo sgomento della conoscenza profonda?
Forse, pur nel dolore, la conoscenza stessa. O forse, come suggerisce a un certo punto l’artista strapazzata, semplicemente una nuova forza. Acquisibile grazie e un pesante elmo, poco penetrabile, e a una corazza nuova da indossare come seconda pelle, coriacea. Mica per altro, ma per aumentare un poco la nostra resistenza. Sa il cielo quanto bisogno ne abbiamo tutti. E lo sa benissimo il cuore palpitante d’artista, nella sua trepidazione ininterrotta, vitalisticamente ritmica, piccolo caro personale tamburo di guerra.
Ferruccio Giromini – Opere 1998-2008 – Catalogo
Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea – Bondeno FE
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A DIALOGUE STOLEN WHILE STANDING ASIDE, IN A SHADOWY DEN
Who chooses to become an artist?
When and why? Fortunately for us the common mortals, some individuals will not accept to have an ordinary life, with its petty sorrows and trivial victories. Their example helps us gulp down some bitter pills, under the pretext of beauty and intellectual provocation. But, unfortunately for them, these individual painfully strive for something being just rounder, or sharper, or higher, o even sublime. Reality as such cannot satisfy them; thatís why they choose create a new one, or several new ones, for their own sake. They are smallcreators (not simply creative). And they are called artists. Are they all worth being called as such? Certainly not. Like in all circumstances, there are only a few best. Onaverage, they are middling, by definition. And the worst are never lacking. However, regardless of their economic value and quotes, it is not impossible to discriminate and make a way out of the complicated hubbub ofself-proclaimed artists. There are several gimmicks to help divide the goodones from the bad ones. Letís see one for all here: generally, the ones who walk their own lonely way irrespective of the marketís credit are betterthan most of the rest. What they do, they do it for their own sake, becausethey just canít help it, and not because they wish to get tributes orephemeral values. They do it because if they didnít they could not respector approve themselves. They do it because only this way can they feelcomplete and helpful to themselves and to the others. But why so much speculation? Can we not get to the point? Right. Letís do it: we want to talk properly about Giovanna Torresin here.
This artist is worth being included in the respected category of the goodones, since everything she has produced to date she has done it for thesake of her expression only, with no ulterior motives, and certainly not for trade. What are the qualities of her work, of her poetics? Leaving out her beginnings as a substantially informal painter, though thes were already an indication of a magmatic character on the verge of eruption we had better concentrate on her work of the latest years, which representsher current spirit better. Beside the most exterior differences, she alsohas different ways to think and tell her world. The favourite materials ofher meditation originally belong to home life, as if she was looking arounda standard kitchen: cutlery, dishes, glasses, chairs, also slippers.Focusing on what is around her, she stops her time and extends it to analmost transcendental space, which becomes a sort of paradigm of the littlelife we live day by day. Just like Sleeping Beauty in her castle? It may be… Whether she is waiting or not for an indefinite Prince Charmin to come and wake her up, this sleeping-rearing-to-go maiden has this ambivalent feeling, of tenderness and irritation alike, for the items shelives with in her prison-palace that holds and detains her. Her constant disquiet makes her outline, with controlled fits of impatience, a personalgeometry of her captivity. Why and how does everything freeze around her? She is the one to freeze the elements around her, thanks to accurate andruthless castings of concrete, tar, ceramic, resin, wax at best.
Thehalf-full (half-empty) drawers of her room of memories; the unserviceablegear of her tables set in vain, mounted on wheels that are neutralised andwill go nowhere; her potential banquets locked in containers sealed with zi=fasteners; a choir of ladyís bags with their open mouths shut up… Theseare all meows of love pain. This lady must settle her accounts with herpast. She has chosen art to do so, a game elegant in form ñ based on thesequence of three colours of the alchemic transmutation of matter: the redof rubedo, the black of nigredo, the white of albedo ñ and most cruel incontent. This is a worn-out game of castration, a true torture, where shecomes into play too, eventually. When exactly does she come into play? Again, it is a most familiar item to call her onto the stage of her Passion her own cross is a table. That derisive skeleton standing in the middle ofthe kitchen, straight on the bones of its legs, a bearing and scaffold of aquiet and screaming existence behind those four walls. A table, a tablemeans both sorrow and joy for Giovanna Torresin. She splits it in two,sections it, and the two halves brought near to each other on the floorbecome two brackets to contain fragments of the past, bits of yesterday, toremember once again and then forget for good.
The woman blends with thetable, penetrates it and lets herself be penetrated, sometimes withgentleness sometimes with anger. This woman sees the table as a tall lordand master who takes pleasure, unperturbed, in doing whatever he wants withher, such a small lady. They share the stage, but who is the protagonist an who is the deuteragonist? Is it not too easy to answer a question with another question? Rather,after all the gaps plugged in vain, and after the mutual penetrations andconfusions with her multi-edged roommate, where does Giovanna ñ Joan the Maid and the Mad ñ think she will go now, with the courage of her awe? Now is the time when the princess has finally woken up, looks around andfinds herself in front of a mirror. She remembered herself as a girl and no=she finds out she is a woman. As if for the first time, she sees breasts,eggs, vaginas… She thinks and rethinks about the main symbols offertility, feeding, femininity. This is a fixed course for any woman whowishes to become self-conscious.
Through poured liquids ñ milk or resin,blood or quicklime ñ the body of this woman is affirmed and denied in turn,with a seesaw of questions and exclamations that makes you dizzy. Is there a remedy to the dismay arising from deep knowledge? It may be knowledge itself, though painful. Or maybe simply a new strength,as the overworked artist suggests at some point. This strength can beconquered with a heavy helmet, scarcely penetrable, and a new armour to beworn like a second skin, leathery. Not much, but just to increase a bit ourendurance. And the beating heart of the artist ñ persistently worried andvitally rhythmical ñ, this cherished personal war drum, knows it too well.
Ferruccio Giromini – Works 1998-2008 – Catalogue