Dotata di una fortissima personalità che di fatto la preserva da arruolamenti forzati in tendenze e mode, facendone un esempio raro di creatività artistica non allineata, Giovanna Torresin cavalca l’arte digitale da protagonista. Nelle sue immagini, tutte autoreferenziali giacché dal 2000 ritrae e manipola sempre e solo se stessa, il tema centrale appare quello del disagio femminile, un disagio esistenziale che l’artista vive sulla propria pelle e cerca di esorcizzare con la ricerca artistica, trasfigurandolo in metafore visive mai scontate e sempre di inusitata forza onirica.
Nelle prime serie di opere, quelle del 1998-2000, il corpo dell’artista appare compenetrato e metamorfosato con un tavolo da cucina. L’oggetto domestico, elevato a simbolo di una quotidianità familiare alienante, viene letto come strumento surreale di tortura e di oppressione. Lo spazio domestico si spopola e assume i connotati di un incubo kafkiano dove, tuttavia, stazionano ancora i colori della “realtà. Nelle serie degli anni successivi (2001 e 2002), l’atmosfera si fa ancor più rarefatta, artificiale. L’artista moltiplica se stessa in tante statuette dal colore acceso (rosso e verde) che subiscono le attenzioni minacciose di una inquietante e tentacolare ombra grigia: a proiettarla è sempre un tavolo domestico. Nelle opere più recenti le difficili tematiche delpost-femminismo sono sviluppate innestando sul proprio corpo parti diarmature d’epoca. Il risultato iconografico è una schiera di amazzoni “mutanti” addosso alle quali la corazza ci appare, nelle prime opere dellaserie, dipinta sulla pelle come un tatuaggio (2003), per poi trasformarsi, nel prosieguo della ricerca (2004-2005), in una vera e propria appendice bionica. Per resistere alla sofferenza esistenziale, sembra sostenere Giovanna Torresin, le donne hanno bisogno di indossare delle corazze che impediscono alle emozioni di raggiungerle e ferirle. C’è però un rischio: non riuscire più a togliersi il carapace e ritrovarsi definitivamente trasformate (nei sentimenti?). Il racconto delle armature, si dipana dalle immagini più chiare e ricche di pelle esposta ancorché “tatuata” e approda, nel prosieguo della serie, ad atmosfere sempre più cupe, sottolineate da tonalità antracite e ruggine dove il metallo della lorica ha finito per compenetrarsi totalmente con l’epidermide.
Le donne mutanti della Torresin trasmettono sentimenti di paura, patimento, mestizia. Una tristezza comunque composta ed elegante perchè, nelle opere dell’artista lombarda, l’estetica e l’armonia delle forme sono strumenti imprescindibili per raccontare il disagio e l’inquietudine. Ma ecco arriva inaspettato, all’inizio del 2005, lo scatto liberatorio dell’artista, che teme di non riuscire più a sfilarsi l’armatura, che non è disposta a rimanere prigioniera delle proprie angosce (e nemmeno dei risultati artistici fin qui conseguiti). Nascono allora degli autoritratti nudi, luminosi, sgargianti, inneggianti alle fluorescenze rosa shocking, dove le tematiche del disagio femminile lasciano spazio ad una nuova imprevista serenità, ad una femminilità leggiadra, gioiosa e (apparentemente) disimpegnata. Per capire se si tratti di una parentesi o di una svolta definitiva nel lavoro dell’artista bisognerà aspettare ancora qualche tempo.
Solo nel futuro prossimo sapremo se Giovanna Torresin sia riuscita a sfilarsi definitivamente l’armatura dell’inquietudine, se l’abbia saputa gettare lontano dove non potrà più riprenderla o se, titubante, abbia voluto conservarla, pronta ad indossarla di nuovo alla prima occasione. Ovviamente sempre giurando a se stessa che quella sarà davvero l’ultima volta che indosserà la divisa della donna angosciata e dell’artista inquieta.
Roberto Roda – Opere 1998-2005 – Catalogo
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THE COLOURS OF DISCOMFORT
Gifted with a very strong personality which actually guards her against any forced enrolment in trends and fashions, so that she is a rare example of non-aligned artistic creativity, Giovanna Torresin rides digital art as a protagonist.In her images – all of them self-referred considering that she has been representing and manipulating always and invariably herself since 2000 – the central topic is women’s discomfort, an existential discomfort the artist is living on her own skin and is striving to exorcise with her artistic research, transfiguring it into never common visual metaphors, always filled with unusual dreamlike power.In her first series of works, produced from 1998 to 2000, the artists’ body is penetrated and metamorphosed with a kitchen table.A domestic object, elected as a symbol of alienating familiar routine, is interpreted as a surreal instrument of torture and oppression.
The domesticspace gets deserted and takes on the connotation of a Kafkan nightmare,although the colours of “reality” do remain. In the works produced in thefollowing years (2001 and 2002), the atmosphere gets increasingly rarefiedand artificial. The artist multiplies her self in a multitude of brightlycoloured (red and green) figurines, who are made the object of thethreatening attention of a disquieting and sweeping grey shadow, again theprojection of a table. In her most recent works, the difficult themes ofpost-feminism are developed by using elements of period armours grafted ontoher body. The resulting image is a rank of “mutant” Amazons whose armourslook like painted on the skin like a tattoo in the first works of thisseries (2003), while they become a true bionic appendix in the course of herresearch (2004-2005). To resist their existential anguish – GiovannaTorresin seems to infer – women need to wear armours so that emotions areprevented from reaching them, and hurting them. There lies a risk, though:they are likely to never be able to take the shell off and they may findthemselves transformed forever (in their feelings?). This narration about the armours starts from neater images where more skin shows through the”tattoos” and ends, in the course of this series, with dimmer atmospheres, characterised by anthracite and burnt red hues, where the metal of the lorica eventually blends in the epidermis.
Torresin’s mutant women conveyfeelings of fear, suffering, sadness. Their sadness, however, isself-possessed and elegant because, in the works of this artist native ofLombardy, the beauty and harmony of shapes are the inevitable instruments tospeak of discomfort and disquiet. Then, unexpectedly, early in 2005, thehealing fit of the artist comes about: she is no more afraid she cannot slipout of her armour, she is no more willing to remain a prisoner of her ownanguish (or of the artistic results she has reached). Then, she producesnaked self-portraits, which come bright, loud, and celebrative, in afluorescent shocking pink. There, the theme of women’s discomfort makes room for a new unexpected serenity, a graceful, joyful and (seemingly)uncommitted femininity.
To understand whether this will be only aparenthesis or a final turn in the artist’s work, we will have to wait sometime. In the near future, we will know whether Giovanna Torresin has finallymanaged to peel off her armour of disquiet, and whether she could throw itaway from her so that she can no more reach it. Or, if she hesitantly wantsto keep it and is ready to wear it again soon. Obviously, always swearing toherself that will be truly the last time she will wear the uniform of ananguished woman and of an anxious artist.
Roberto Roda – Works 1998-2005 – Catalogue