REGINA DI CUORI – Sabrina Zannier –

Regina di cuori è un titolo imperativo e al contempo giocoso, che bene si presta a contenere l’essenza poetica di tutta l’opera di Giovanna Torresin, di cui la doppia personale allestita nei due spazi espositivi delle Obalne Galerije a Capodistria attraversa gli snodi fondamentali. Svincolata dalla sequenza cronologica o dalla scansione tematica, appare piuttosto articolata secondo il principio del “mescolamento delle carte”, alludendo così al gioco sotteso al titolo stesso. Sono del resto proprio le carte da gioco, nella simbologia dei semi e delle figure, a svelarci le due vie sulle quali s’intreccia la ricerca di Torresin: quella dei “cuori”, che ammicca alla relazione; e la via tracciata dalla “regina”, che identifica la figura femminile.
All’insegna del gioco, teso fra regia concettuale e incognita legata alle mosse degli altri giocatori, l’artista conduce la sua opera lungo un percorso fondato sulla relazione psichica, sensoriale ed emotiva con l’altro da sé, sempre mettendo in scena il suo essere donna. Una donna che non ha paura di svelarsi in tutti i suoi aspetti, una donna che si mette a nudo, per denunciare le sue e altrui maschere, per incidere le tracce delle ferite, stendere gli aloni della dolcezza e disegnare la bellezza del dolore e dell’amore. Con una tagliente vena ironica, uno sguardo a tratti masochista e un atteggiamento battagliero, tanto da indurmi a passare dalle carte da gioco alla Regina di cuori di Lewis Carroll, la bellicosa governante del Paese delle meraviglie.
La regina di cuori che governa l’opera di Giovanna Torresin è quel sottile filo rosso lungo il quale si snoda il percorso rappresentato in mostra con opere datate dal 1994 al 2011. Si tratta d’installazioni e fotografie prodotte nell’arco di oltre tre lustri, lungo i quali l’artista affronta temi e ossessioni diverse, ma sempre legati a quel principio di relazione che presto sfocia, con affondo biografico, nella messa in gioco della propria corporeità.
Alla Galleria Loggia sono poste a confronto le opere con la maggiore distanza temporale, proprio per sottolineare il filo conduttore dell’intera poetica che, governata metaforicamente dalla Regina di cuori, affiora come un inno all’amore, un abbraccio universale a ridosso del corpo e delle sue simbologie, fisiche ed emozionali.
Il percorso inizia da un lavoro del 2011, da quel tappeto di cuori bianchi realizzati in ceramica, a misura reale, tra i quali appaiono cadenzati dei melograni color amaranto: “sanguinano” sul pavimento, lasciandoci in bilico tra l’aspro sapore del frutto e il dolore di un cuore che nella sua valenza scultorea appare candidamente raffreddato. Binomio tra candore e passione, sacro e profano, che ritroviamo anche nel tavolo del 1996, dove le uova svelano il sesso femminile, già annunciando la presenza del corpo. Nei tappeti composti da omini ibridati con la figura del tavolo si sommano le due immagini ossessive dell’opera intesa nella sua complessità: il corpo umano e il tavolo – simbolo del convivio e quindi luogo di relazione – sul quale l’artista ha lavorato molto in passato.
Ancora un tavolo, quello con le zampe da giraffa, dove già il corpo si moltiplica, ma nella sequenza di teste, di presenze silenti e incernierate. In quei corpi scuri e sintetici, sviluppati sotto il tavolo in forme triangolari, s’intravede la forma del cuore, che a sua volta richiama quella della testa, creando così un evidente richiamo alle fotografie dei cuori che hanno caratterizzato la produzione dell’artista dal 2008 al 2009. Cuori incorniciati da pizzi bianchi, che sembrano pasticcini da servire a tavola e di nuovo torna il riferimento al convivio; cuori coronati da spine o trafitti da chiodi, cuori in cui la visceralità della carne è svelata da cerniere e armature metalliche o, ancora, cuori in cui il principio di difesa dell’armatura si tramuta nella preziosità di un gioiello.
Sabrina Zannier
Inno all’amore
Alla Galleria Medusa trionfa la Regina di cuori quale inno alla figura femminile, sempre incarnata dal volto e dal corpo dell’artista in una sorta di travestimento-svelamento. Il percorso inizia con la serie delle madonne del 2006, sorte come una rilettura in chiave dark di alcune maternità del Cinquecento, da quelle di Botticelli e Bellini a quelle di Vincenzo Foppa e Andrea Solario. Torresin s’insinua nella tradizione pittorica italiana recuperandone l’impianto compositivo e collocando il proprio volto al posto di quello della madonna dipinta. Emerge così una sottile frizione visiva e concettuale, che poggia sulla relazione tra fotografia e pittura, realtà e rappresentazione, contemporaneità e storia.
Le vesti leggere e fluenti dei dipinti originari s’induriscono in corazze e scintillii metallici, così come i molli incarnati femminei si traducono in rigide epidermidi che ammiccano ad elmi decorati o tatuaggi impreziositi da materialità artigianali, quasi vi fosse una mutazione genetica in atto. Sono Madonne mascherate, ammutolite nel dolore di maternità trafitte e nella dolcezza di gesti e sguardi che amplificano la perseverante relazione fra la donna e il bambino.
L’inno all’amore incarnato dalla Regina di cuori — svelato in tutta la sua teatralità nelle Madonne del 2006 e nei “travestimenti” della simbologia del cuore nella serie fotografica esposta alla Galleria Loggia — trova fondamento nelle opere realizzate nel 2004 e nel 2005. Opere che propongono una presa diretta sul corpo dell’artista, dove ormai la pelle è occultata dal metallo e dai decori, dove le teste sono elmi e maschere, scudi di protezione che preservano l’identità. L’inno all’amore è sotteso alla durezza metallica e al preziosismo delle sue decorazioni. Affiora a tratti, come un fluido emozionale, nel gesto della mano che esibisce il capezzolo quale fonte di nutrimento che rimanda ancora alla maternità; pulsa dagli sguardi melanconici e visionari che dietro e dentro le maschere ci raccontano i tortuosi sentieri della Regina di cuori.

Galleria La Loggia e Medusa Capodistria

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Queen of hearts

The Queen of Hearts is a commanding and yet playful title that lends itself well to the poetic heart of Giovanna Torresin’s overall body of work, the main points of which are addressed by the double solo exhibition in the two exhibition spaces of the Obalne Galerije in Koper. Freed from the requirements of chronology or thematic presentation, the exhibition is articulated via a “shuffling of the cards”, making further allusion to the card game implicit in the exhibition’s title. Indeed, it is the playing cards – in the symbolism of the suits and the court cards – that reveal the two paths along which Torresin’s investigations travel: the way of “hearts”, which hints at relationships; and the path traced out by the “queen”, which represents the female figure.
Working with the symbolism of a game, balanced between the conceptual rules and the unknown that comes from the moves of other players, the artist takes her work along a path based on mental, sensory and emotional relations with her own Other, while still presenting her essence as a woman. A woman who is not afraid to portray every aspect of herself, a woman who appears naked, to denounce her own masks and those of others, to record the traces of wounds, stretch the marks of sweetness and depict the beauty of pain and love. With an ironic edge, a look at times masochistic and a combative attitude, leading us to move from playing cards to Lewis Carroll’s Queen of Hearts, the belligerent ruler of “Wonderland”.

The Queen of Hearts who rules over Giovanna Torresin’s work is the common thread of an exhibition that brings together works dating from 1994 to 2011. These installations and photographs were produced over a period spanning more than 15 years, during which the artist has addressed a wide range of themes and obsessions, always tied to relationships, which, given the artist’s biography, quickly brings her own physicality into play.
The exhibition at Galerija Loža places in contrast the works separated most by time, emphasising that common thread of the internal poetry, which – metaphorically governed by the Queen of Hearts – emerges as a hymn to love, a universal embrace, of the body and its symbolisms, physical and emotional.

The exhibition starts with a work of 2011, a floor of white hearts made of ceramic, on a realistic scale, among which appear, in measured fashion, amaranth-coloured pomegranates: “bleeding” on the floor, leaving us hanging in the balance between the bitter taste of the fruit and the pain of a heart whose sculptured look appears ingenuously cool. The combination of candour and passion, the sacred and profane, which is also found in the 1996 table, in which the eggs depict the Female, already announcing the presence of the body. Mats composed of men hybridised with the shape of the table add the two obsessive images of a work conceived in its complexity: the human body and the table – symbolic of banqueting and hence the locus of relationship – on which the artist has worked extensively in past.
Another table, the one with the giraffe’s legs from where the body is already multiplied, but in the sequence of heads, in silent and hinged presence,. In those dark and synthetic bodies, developed beneath the table in triangular shapes, one glimpses the shape of the heart, in turn reminiscent of the head, thus creating a clear reference to the photographs of hearts that characterized the artist’s work from 2008 to 2009. Hearts framed with white lace seem like delicate pastries to be served at table, again a reference to the banquet; hearts crowned with thorns or pierced by nails, in which the viscerality of flesh is revealed by hinges and metal fittings, or even hearts in which the defensive principle of armour is turned into the precious nature of a jewel.

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